Foto e testo di Saverio Fanfulla
Alla fine della chiacchierata, l’anziana ci chiede quanto altro tempo ancora saremmo rimasti in Palestina e quali altre città avremmo visitato. La nostra risposta è stata un elenco di città, non parlavamo arabo e non siamo riusciti a strutturare una frase completa, per fortuna Mohammad ci traduceva. Alla pronuncia di Akko, città sul mare nello Stato d’Israele, gli si illuminano gli occhi, gli scende una lacrima, ci guarda e ci chiede: “Quando sarete lì, salite su per la strada che porta al Minareto, difronte a questo ci sarà una casa, la mia casa. Andate lì, baciatela per me, ditegli che mi manca, ditegli che probabilmente non ci vedremo più, ditegli che siamo stati assieme e che abbiamo parlato a lungo. La mia casa, dove sono nata, dove sono cresciuta, dove ho accudito i miei fratelli, dove aspettavo con ansia mio padre, dove ho visto morire mio padre. Fate una preghiera, che Dio vi benedica, inshallah un giorno ci torneranno i miei figli.”
L’anziana mancava da 30 anni, la ricordava bene, metro quadro per metro quadro e posso confermare, tutto è rimasto come le sue parole, bellissima, alta, delle volte bellissime, un minareto imperioso come panorama che divide in due il mare. Una cosa è cambiata però e non è un particolare che può passare inosservato ad un testimone che ha osservato e ascoltato; sul campanello c’è scritto Moshe-David.
Questo ho riportato nel mio zaino, la consapevolezza e la capacità di trasformare la rabbia in azione.
Ero arrabbiato, tanto arrabbiato, oggi sono testimone; incontro, racconto e agisco.
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